WILD ANIMALS

Titolo Coreano:

야생동물 보호구역

Pronuncia Originale:

Ya-saeng-dong-mool Bo-ho-goo-yeok

Titolo Italiano:

Animali Selvaggi

Regista:

Anno:

1997

Durata:

105 min

Nazione:

Corea del Sud

Formato:

35mm

Tipologia:

Colore:

Colore

Lingua:

Coreano

Sottotitoli:

Italiano, Inglese

Genere:

Direttore delle Luci:

Edizione Festival:

Sezione Festival:

Rassegna/Retrospettiva:

Sinossi:

Un sud coreano, Chung-Hae (Oceano blu) arriva a Parigi per studiare arte e finise invece col diventare un truffatore. Incontra Hong-San (Montagna rossa) che sta cercando di disertare dall’esercito Nord Coreano per arruolarsi nella legione straniera, e nonstante il truffatore sud coreano approfitti della fiducia dell’ingenuo Hong-San e sfrutti le sue doti nelle arti marziali per far soldi, fra i due nasce un’amicizia fraterna. Hong-San si innamora di una giovane ungherese che si esibisce nei peepshow, ma finisce con l’ucciderla a causa di un coinvolgimento Di Chung-Hae con la mafia.

Recensione Film:

Secondo film di Kim Ki-duk, Wild Animals è un’opera minore nella sua nascente filmografia, che segna per il regista il ritorno nella città in cui ha vissuto nel corso del suo soggiorno europeo: Parigi. Fortemente penalizzato dalla mediocrità degli attori francesi, a partire da Richard Bohringer nel ruolo del mafioso chiacchierone, e da una messa in scena statica e povera di idee, Wild Animals riesce a convincere nella descrizione di un’amicizia prima di circostanza, poi sempre più sincera, tra due coreani in esilio. La fascinazione del regista per una sorta di stato di natura che ammira negli esseri rozzi e interi, amplificata da una connotazione latentemente omosessuale, ci regala alcune sequenze di dilemmi morali che non stonerebbero in un film di John Woo. Sequenze che salvano un film dalle ambizioni confuse (metafora politica? Racconto nostalgico d’erranza?), in cui le folgorazioni poetiche del suo visionario regista deludono per la loro mancanza di pertinenza.

Se con la sua opera prima, Crocodile, Kim guarda al suo passato di pittore di strada, con il secondo film cerca di sdebitarsi con Parigi, la città che da esule volontario lo ha accolto, e con la gloriosa tradizione del cinema francese. Il disertore che ripara in Europa e il pittore di strada che vive di espedienti sono coreani, due sradicati che si muovono a loro insaputa per le strade di una città del cinema, quello in bianco e nero dei gloriosi polar (i film polizieschi francesi) di una volta. Ma se l'omaggio, intriso di inconsapevole cinefilia e autobiografismo, funziona solo in parte, a rendere Wild Animals un film da non perdere sono il sangue e la violenza, che scorrono copiose nel film a ricordarci di che pasta è fatto il mondo di Kim Ki-duk, la realtà di fallimenti e di isolamento con cui è costretto a convivere Chung-hae, e infine la sublime bellezza di un personaggio femminile il cui corpo è materia grezza da scolpire e dipingere, come una statua di Rodin. Nella sua amarezza di fondo, che il film mostra solo in parte, Wild Animals è forse il necessario passaggio a qualcosa di più grande, che sta per arrivare.
Marco Luceri