SURROGATE MOTHER, THE

Titolo Coreano:

씨받이

Pronuncia Originale:

Ssibag-i

Titolo Italiano:

Utero in Affitto

Regista:

Anno:

1987

Durata:

100 min.

Nazione:

Corea del Sud

Formato:

35mm

Tipologia:

Colore:

Colore

Lingua:

Coreano

Sottotitoli:

Italiano, Inglese

Genere:

,

Produttore:

Sceneggiatori:

Musiche:

Direttore alla Fotografia:

Montaggio:

Direttore Artistico:

Direttore delle Luci:

Costumista:

Edizione Festival:

Sezione Festival:

Rassegna/Retrospettiva:

Sinossi:

Nella Corea della dinastia Joseon, Sang-gyu, rampollo di una famiglia aristocratica, e la moglie Yun non riescono a procreare, mettendo a rischio la successione della famiglia Shin. Zio e nonna di Sang-gyu convincono la nuora ad accettare in casa una Ssibaji, una donna che presti il suo utero fertile alla concezione di un figlio dal seme di Sang-gyu. La prescelta come utero in affitto è la vergine diciassettenne Oak-nyo, proveniente da un villaggio di sole donne nella Valle del Cancello di Giada. La vitalità e sfrontatezza della giovane però creano non pochi problemi, sopratutto allorché Sang-gyu si scopre preso di lei…
Premio per la migliore interpretazione femminile alla Mostra di Venezia 1987.

Recensione Film:

The Surrogate Mother è uno dei primissimi film coreani ad aver avuto ampia visibilità internazionale, grazie alla presentazione in concorso a Venezia 1987 e al premio vinto da Kang Soo-yeon come miglior attrice e una delle opere che hanno costruito la reputazione di Im Kwon-taek. Si tratta di un film che prende le mosse dall’esplicita denuncia della triste condizione della donna in epoca Joseon, dovuta alla preferenza per i figli maschi, accordata secondo i precetti confuciani. Solo i figli maschi infatti possono celebrare i riti di venerazione degli antenati, quindi la tradizione confuciana prevede la necessità di avere un erede maschio in ogni famiglia.Oltre all’ovvia pratica dell’utero in affitto da cui prende le mosse la narrazione, il film di Im si propone in effetti come un catalogo delle moltissime pratiche tradizionali intese a favorire la procreazione di una prole maschile; pratiche che sconfinano spesso nella mera tortura, per quanto suggestiva (si prenda come esempio il ‘respiro lunare’ cui Oak-nyo è corretta). Di qui uno degli aspetti più controversi di un’opera che occupa comunque a pieno diritto una posizione preminente negli annali del cinema coreano: la presentazione reiterata di questi rituali-tortura che spesso infieriscono sul corpo femminile (si veda in apertura la cura contro l’infertilità bruciando la moxa),le bastonate su corpi che vestono abiti infradiciati, le espressioni di dolore e piacere di Oak-nyo durante gli amplessi hanno levato gli strali di chi vi legge un compiacimento del tutto incoerente rispetto agli sbandierati propositi pro-femminili.Allo spettatore l’occasione da non perdere di farsi una sua opinione!