POETRY

Titolo Coreano:

Pronuncia Originale:

Si

Titolo Italiano:

Poesia

Regista:

Anno:

2009

Durata:

139 minuti

Nazione:

Corea del Sud

Formato:

35mm

Tipologia:

Colore:

Colore

Lingua:

Coreano

Sottotitoli:

Italiano, Inglese

Genere:

Distribuzione Internazionale:

Sceneggiatori:

Direttore alla Fotografia:

Montaggio:

Direttore Artistico:

Direttore delle Luci:

Effetti Speciali:

Edizione Festival:

Sinossi:

Mi-ja vive una vita modesta, crescendo da sola il nipote adolescente che la figlia ha abbandonato dopo il divorzio. Alle soglie della vecchiaia, e con un evidente principio di Alzheimer, campa come può, cercando malamente di tenere a bada il ragazzo, lavorando part-time come badante di un anziano malato e semi-infermo, e cercando di conservare sempre e comunque un aspetto curato e gioviale. Il suicidio di una ragazzina gettatasi da un ponte, irrompe però nella sua vita in un modo drammatico ed inaspettato, e Mi-ja dovrà fare i conti con una cruda realtà, compromessi umilianti e un acuto senso di colpa.

Recensione Film:

Il percorso filmografico e autoriale di Lee Chang-dong, classe 1954, cineasta coreano tra i più noti ed apprezzati anche a livello internazionale, è una linea retta costellata di punti fermi, e leit motiv, che si sviluppa, coerente e costante, sin dal suo esordio alla regia, avvenuto nel 1997 con Green Fish. Poetry si inserisce nell’opera di Lee in modo naturale, apodittico, quasi consequenziale, una pellicola che di diritto fisiologicamente appartiene, per stile e contenuti, alla breve, ma intensa tradizione narrativa di Lee Chang-dong. Qui sussistono e si manifestano tutti quegli elementi propri e fondanti della sua poetica, primo fra tutti la concessione abbondante e imprescindibile al fantastico, inteso come alternativa al reale, più che come chimerico o agognato. Ci si accontenta di sognare, senza pretendere che ciò che si sogna si avveri, o si sostituisca alla concretezza della propria vita. Fantasticare sulla normalità è l’escamotage salvifico, l’unica via di fuga che beffa l’ineluttabile e disarma il melodramma dell’esistenza, ed è, oltretutto, la marca distintiva primaria di Lee.
Il lavoro che precede Poetry, Secret sunshine, è l’eccezione che conferma e rafforza la regola, spiccando per una narrazione asciutta, che non fa deroghe alle incursioni dell’immaginario. Pur quindi mantenendo le tematiche a lui care, si inabissa a tal punto nello studio delle dinamiche legate alla disperazione e alla disillusione derivanti dalla perdita del proprio io e delle proprie certezze, da non riuscire a farlo in altro modo se non rimanendo concentrato su questi sentimenti, ancorato fermamente alla realtà. Poetry ritorna invece sull’argomento primario del sogno come alternativa alla crudezza e al carattere spietato del reale, facendo muovere su binari paralleli le due istanze, e volgendo in nutrimento, in arricchimento per la dimensione speculare del fantastico, ogni elemento peggiorativo del miserabile destino della protagonista.
Il mondo di Lee è spesso degradato, popolato da personaggi minati dalle difficoltà della vita fino all’accanimento del destino, derelitti, emarginati dalla società, che trovano, a prescindere dalla loro situazione disagevole, una risposta che li compensi di tutti i mali subiti, basti pensare all’improbabile eppure solida coppia di Oasis.
E’ questo il secondo tratto, questo sì imprescindibile senza esclusione alcuna, che domina segna e identifica la filmografia di Lee Chang-dong, connotato che giustifica la presenza così prepotente dell’irreale, e lo lega a se’ come altra faccia di un dualismo potente e ancestrale. Sono uomini e donne dalla sorte infausta, sempre in agguato, e sempre pronta a rincarare la sua dose con nuovi drammi, esseri singoli e solitari al di fuori di una realtà comunitaria che li supporti. La famiglia che Lee descrive è sempre in qualche modo disgregata, lontana dai propri doveri costituiti, addirittura matrigna. Una critica all’istituzione familiare coreana la sua, ma anche una riflessione sulla tragicità senza fine che la vita può riservare, tragicità che si traduce anche nella mancanza di quegli affetti considerati essenziali che nei racconti di Lee a dir poco latitano. In Poetry ci sono nonne che sono madri, e che lo sono fino all’estremo (e allo stremo), ma anche figlie che sono al contempo madri assenti e figlie inesistenti, secondo assetti non convenzionali che si rivelano subito disarmonici e quindi pronti a portar con se’ la tragedia. Tutto si stempera nel racconto di Lee, niente si enfatizza e si porta all’eccesso, ne’ con iperboli melodrammatiche di sorta, ne’ con l’ausilio di elementi extra dietetici mirati, come musiche enfatizzanti. Il narrato, già spietato di per se’, basta a se stesso, e non vuole rafforzamenti che lo rendano grottesco,
Ma la famiglia in crisi, l’istituzione che si sgretola, è anche quella apparentemente tradizionale, che perde la propria funzione attraverso comportamenti dissennati e senza carica valoriale alcuna, di quelle figure genitoriali appartenenti a contesti “non problematici”.
Accade così che padri “normali”, di ragazzi “normali” avallino le barbarie, queste sì per nulla “normali”, dei propri figli, pur di vedere intatta la loro reputazione, preoccupandosi solo di soffocare e sedare ogni possibile fonte di diffusione delle loro azioni spregevoli.
Morta l’ideologia della famiglia, del mutuo soccorso, dell’educazione, della trasmissione di principi, ciò che rimane sono le singole persone con il proprio valore che prescinde dall’alveo di provenienza, e che vale per se stesso, svincolato da qualsiasi rete di protezione. L’eroina di Poetry è una donnina insospettabilmente forte, che al mutuo soccorso di cui purtroppo non gode, preferisce il “muto soccorso”, un sacrificio incondizionato che nulla vuole e nulla si aspetta in cambio, e che, per di più, si esprime nel silenzio e nell’ombra. Starà a lei, apparentemente sfasata e distante dal reale, riprendere le redini del ragionevole e restituire dignità alla tragedia che la scelleratezza e l’immaturità delle azioni degli altri hanno posto sotto silenzio; starà a lei, l’unica tra tutti, provare vergogna, sdegno e sofferenza; starà a lei, al suo aspetto frivolo e naif, ai suoi sogni tramutati in versi, alla sua disperazione che si stempera nell’osservazione della natura, nei reading di poesia, nelle canzoni gridate quasi con disperazione nella solitudine di un karaoke, dare una lezione di vita, anche questa non chiassosa e manifesta, ma, come per tutti i miserabili di Lee Chang-dong, in punta di piedi, senza disturbare.
Recensione di Gabriella Cerbai