PEPPERMINT CANDY

Titolo Coreano:

박하사탕

Pronuncia Originale:

Bak-ha-sa-tang

Titolo Italiano:

Caramella alla Menta

Regista:

Anno:

1999

Durata:

129 min

Nazione:

Corea del Sud

Formato:

35mm

Tipologia:

Colore:

Colore

Lingua:

Coreano

Sottotitoli:

Italiano, Inglese

Genere:

Produzione:

,

Distribuzione Internazionale:

Sceneggiatori:

Musiche:

Montaggio:

Direttore Artistico:

Direttore delle Luci:

Edizione Festival:

Rassegna/Retrospettiva:

Sinossi:

Un picnic in riva al fiume; un gruppo di coetanei si riunisce vent’anni dopo un’eguale scampagnata. Kim Young-ho, di cui tutti avevano perso le tracce, si presenta all’improvviso, in giacca e cravatta e in evidente stato confusionale. L’uomo canta sguaiatamente e corre in acqua gridando. Gli ex compagni cercano d’ignorarlo. Young-ho sale quindi sul ponte ferroviario e si piazza sui binari coll’evidente intenzione di suicidarsi. Solo uno degli ex compagni gli s’avvicina per convincerlo a desistere. Ma l’uomo piange e grida disperato. Quando il convoglio che pone fine alla sua vita s’avvicina, Young-ho grida: “Voglio tornare indietro!”. Dalle immagini di binari ferroviari che scorrono a ritroso, Peppermint Candy ripercorre quindi la tragedia individuale di Young-ho sullo sfondo di vent’anni di Storia della Corea, dalle repressioni del movimento democratico ai tempi della dittatura militare sino al boom economico e alla crisi di metà anni Novanta. Arrivando in fine a ritrovare l’innocenza perduta di Young-ho e di una nazione…

Recensione Film:

Per una serie di ragioni anche simboliche, Peppermint Candy è stato assurto ad incunabolo della raggiunta maturità del nuovo cinema coreano degli anni Novanta. Primo film nazionale presentato in apertura del Festival cinematografico internazionale di Pusan, Peppermint Candy è uscito in Corea il primo gennaio 2000 e il suo percorso attraverso gli ultimi vent’anni nella vita di un uomo, intrecciati strettamente all’ultimo ventennio di Storia della nazione sudcoreana, gli ha conferito un valore quasi testamentario rispetto al secolo appena concluso.
Rispetto alla sua opera prima Green Fish, Peppermint Candy segna per Lee Chang-dong una netta rottura rispetto alle modalità di racconto propriamente realiste. I capitoli di cui si compone il film, infatti, sono montati in ordine inverso rispetto all’accadimento cronologico degli eventi rievocati: il primo atto si conclude con il suicidio del protagonista, Young-ho (indimenticabile prova di Seol Kyeong-gu), che si getta sotto un treno, levando il grido: “Voglio tornare indietro!”. Il dispositivo cinematografico esaudisce, quindi, l’ultimo desiderio dell’uomo, riportandolo (e con lui lo spettatore) indietro nel tempo, in un percorso a ritroso scandito da sequenze di raccordo che riavvolgono il percorso lungo le rotaie di un treno - forse proprio il treno che lo ha investito...
L’idiosincratica costruzione dell’intreccio di Peppermint Candy smaschera l’arguta consapevolezza di Lee rispetto alle prerogative e possibilità offerte dal mezzo cinematografico. Con quest’opera della piena maturità, Lee dimostra come il passaggio dietro la macchina da presa non sia per lui una mera prosecuzione della sua attività di scrittore, bensì l’esplorazione di un nuovo linguaggio, dotato di paradigma grammaticale e articolazioni sintattiche differenti. In Peppermint Candy, la struttura narrativa si fa veicolo sostanziante di una compenetrazione metaforica tra destino individuale e Storia di una nazione: la morte, la discesa agli inferi e prim’ancora la perdita d’innocenza di Young-ho, sorta di uomo qualunque, sig. Rossi della Corea del Sud di fine Ventesimo Secolo, chiamano stringentemente in causa la crisi finanziaria figlia di un capitalismo rampante senza scrupoli, i lunghi, bui anni della dittatura militare e della repressione della protesta studentesca e dei movimenti democratici, nonché il tragico massacro di Kwangju (maggio 1980).