

NORTH KOREAN PARTISAN IN SOUTH KOREA
Nel settembre del 1950, in piena Guerra di Corea, il reporter nordcoreano Lee Tae viene fatto trasferire da Pyeongyang a Jeonju come corrispondente. Mentre le truppe dell'esercito sono costrette a ritirarsi a nord, Lee si unisce per ordine del partito ai partigiani nordcoreani. Durante una fuga, Lee viene colpito e in seguito soccorso da Pak Min-ja, di cui ben presto s'innamora. Ma i due sono subito costretti a separarsi dovendo obbedire alle riassegnazioni imposte dal partito. Le forze punitive costringono nuovamente alla ritirata le brigate partigiane; sbandato e in preda alla borreliosi, Lee entra a far parte della guerriglia del Partito dei Lavoratori della Corea del Sud, la cosiddetta “Nambugun”. Dopo aver compiuto alcune imprese vittoriose, i partigiani vengono bloccati dal freddo e dai nemici sul Monte Jiri. Ormai le loro vite sono nelle mani delle negoziazioni tra Nord e Sud.
La storia di un nordcoreano che si arruola nelle brigate partigiane sudcoreane è già di per se materia scottante, ma non lo sarebbe in maniera così forte se questo film non rappresentasse, in fondo, la parabola di una deriva: quella del protagonista, che sconta sulla propria precaria esistenza, il non senso della guerra. In continuo movimento tra un fronte e l’altro Lee Tae, in preda alla più completa confusione e senza sapere da che parte stare, non riesce più a trovare il proprio posto nel mondo. A dare un volto a questo personaggio – allucinato e febbrile, soprattutto nella seconda parte del film – ci pensa un ispiratissimo Ahn Sun-ki, il cui destino è costantemente in balìa degli eventi. L’attore carica la figura del reporter di un’inquietudine latente, mostrandone i diversi stati emozionali senza soluzione di continuità, trasformandolo così in un personaggio simbolico, come se il peso dell’intera condizione umana gravasse su di lui.