GORYEOJANG

Titolo Coreano:

고려장

Pronuncia Originale:

Goryeojang

Titolo Italiano:

Burying Old Alive

Regista:

Anno:

1947

Durata:

90 min

Nazione:

Corea del Sud

Formato:

35mm

Tipologia:

Colore:

Bianco & Nero

Lingua:

Coreano

Sottotitoli:

Italiano, Inglese

Genere:

Distribuzione Internazionale:

Sceneggiatori:

Musiche:

Direttore alla Fotografia:

Montaggio:

Direttore Artistico:

Direttore delle Luci:

, ,

Edizione Festival:

Sinossi:

Figlio di una vedova, Gu-ryong raggiunge un villaggio tra le montagne perché la madre possa risposarsi con un uomo con dieci figli. Sobillati dalla sciamana del villaggio, che prevede la loro morte per mano di Gu-ryong, i dieci fratelli fanno mordere il bambino da un serpente velenoso, rendendolo zoppo e costringendo lui e la madre a vivere isolati e in solitudine. Divenuto adulto si innamora della bella Gannan-i, ma deve sposare una ragazza muta, che viene violentata da uno dei dieci fratelli. Per la vergogna, Gu-ryong la uccide e rimane ancora solo. Quando la carestia si abbatte sul villaggio, Gannan-i chiede aiuto a Gu-yong portando con sé le sue nove figlie e il marito malato. Gannan-i e Gu-ryong vengono accusati della morte dell’uomo (ucciso dai dieci fratelli), e deve condurre la vecchia madre malata sulle montagne per farsi divorare dagli avvoltoi e invocare la pioggia. I dieci fratelli uccidono Gannan-i e Gu-ryong ritorna nel temporale come un angelo sterminatore ad uccidere i fratelli e la sciamana. Poi prende per mano le bambine di Gannan-i e si prepara ad una nuova vita.

Recensione Film:

Introdotto da una cornice contemporanea (ambientata negli anni ’60), in cui gli invitati di un talk-show televisivo discutono del controllo delle nascite, Goryeojang è un capolavoro di espressionismo che racconta senza appello la crudeltà umana e la sofferenza che nasce dall’ignoranza. Il film è punteggiato di situazioni narrative che descrivono una violenza feroce, sorda e cieca, che non risparmia vecchi e bambini. I dieci fratelli (demoniaci nella loro interpretazione da bambini, trasfigurati in maniera mostruosa dall’abiezione da adulti), sono un corpo solo, una piccola armata del male che spinge Gu-ryong verso il morso di un serpente velenoso, e non ha alcuna compassione a lasciare morire di fame le figlie di Gannan-i. Nove, bambine, dieci compresa la madre, figlia di se stessa, a rappresentare un altro corpo unito, positivo, femminile e per questo destinato alla sofferenza. Una si spegne consumata dalla fame e arsa dalla sete (ma le altre, immediatamente, si stringono per bere dalla sua ciotola la poca acqua rimasta), un’altra, la butterata, che sembra la figlia che Gu-ryong e Gannan-i non hanno mai potuto avere, saggia e deforme, viene sacrificata dalla sciamana in un rito di purificazione. Le donne di Kim Ki-young diventano qui esplicitamente vittime di sacrifici magici e imperscrutabili: Gannan-i viene impiccata su sobillazione della maga, e la madre di Gu-ryong viene deposta in una valletta piena di scheletri umani e sbranata ancora viva da un avvoltoio. Immagine terribile, che allo spettatore occidentale restituisce il senso classico della ubris prometeica (la donna si è ribellata al potere della maga per salvare il figlio, ma ne viene punita), così come l’immagine di Gu-ryong che porta sulle spalle la vecchia madre e per mano una bambina, ha qualcosa della fuga di Enea da Troia. Ma anche la sua sposa muta (ulteriore declinazione di questo stato strutturalmente “mancante” dell’identità femminile), vittima incolpevole che non può spiegarsi, né ottenere giustizia (ma soltanto la vendetta finale), è un’altra creatura destinata al sacrificio, che Gu-ryong compie con il pudore e il dolore di un sacerdote. La durezza terribile del contenuto narrativo è confortata e corroborata dalla forza travolgente delle immagini: in questo luogo anti-realistico, in cui lo spazio è zoppo e deforme come i corpi degli uomini, compiutamente espressionista, percorso senza pietà dalla macchina da presa e indagato nei dettagli e nei primi piani, Kim Ki-young trova il set perfetto per dare forma ai suoi incubi e costruire la sua “immagine diabolica”. Sorprendente la scena del ballo con cui la maga, interroga lo Spirito Divino e vaticina la maledizione di Gu-ryong, sabba stregonesco in cui la donna mangia il fuoco e si dimena. E terribile quella del massacro finale, che sembra anticipare molte situazioni di iper-violenza del cinema coreano contemporaneo, in cui Gu-ryong, in una sorta di ebbrezza panica e di (dis)equilibrio con la natura scatenata nel temporale, compie la sua vendetta come un sacrificio rituale, impugnando una spada incandescente e facendo stillare il sangue dai corpi di quelli che non sono mai stati suoi fratelli, benché invochino la fratellanza in punto di morte. Film intimamente malsano e marcio, in cui Kim Ki-young fa scivolare la corruzione così come i dieci fratelli fanno cadere il cadavere di una donna nel pozzo scavato da Gu-ryong per corromperne l’acqua. Film di morte, e di vendetta.