GILSODDEUM

Titolo Coreano:

길소뜸

Pronuncia Originale:

Gilsotteum

Titolo Italiano:

Gilsoddeum

Regista:

Anno:

1986

Durata:

105 min.

Nazione:

Corea del Sud

Formato:

35mm

Tipologia:

Colore:

Colore

Lingua:

Coreano

Sottotitoli:

Italiano, Inglese

Distribuzione Internazionale:

Sceneggiatori:

,

Musiche:

Direttore alla Fotografia:

Montaggio:

Direttore Artistico:

Direttore delle Luci:

Costumista:

Effetti Speciali:

Edizione Festival:

Sezione Festival:

Rassegna/Retrospettiva:

Sinossi:

La televisione coreana programma un’interrotta maratona che cerca di rimettere in contatto le famiglie divise durante la Guerra di Corea. Una donna d’estrazione borghese, Min Hwa-yong, sposata con tre figli, decide di andare alla ricerca di un figlio perduto all’epoca. Di fronte alla stazione televisiva ritrova dopo trentatré anni Kim Dong-jin, il fratello adottivo con cui concepì il bambino al tempo in cui vivevano a Gilsoddeum…
Un dramma doloroso con cui Im Kwon-taek condanna il presente che vorrebbe seppellire l’eredità di un passato scomodo.

Recensione Film:

Primo film di Im Kwon-taek invitato in concorso ad uno dei grandi festival internazionali (la Berlinale 1986), Gilsoddeum è invero una delle sue opere meno concilianti. La narrazione parte da uno dei topoi della filmografia di Im, l’equazione di un corpo e di un vissuto femminile con il trauma nazionale, in questo caso esplicitamente quello della divisione tra le due Coree. Il personaggio di Hwa-yong è però uno dei più complessi mai messi in scena da Im e il suo percorso mette a nudo verità assai scomode. Non si tratta tanto di quanto la memoria porta a riesumare: la povertà, la perdita dei genitori, il tenero amore per il fratello adottivo e il figlio concepito dalla relazione adolescenziale con lui, le distruzioni e separazioni in tempo di guerra, la dura vita come bar girl… Queste sono tutte tappe di un percorso individuale che ha comunque condotto Hwa-yong in un oggi di prosperità e serenità borghese. Insormontabile è invece l’ostacolo che si frappone al riconoscimento dell’altro e quello che la sua storia e la Storia hanno fatto di lui. Già allorché Minhwa ritrova un Dong-jin proletario e dalla vita umile, il disagio e il distacco della donna s’infiltrano nel suo contegno, ma i ricordi dell’amore vissuto in gioventù temperano un possibile indurimento. Quando però i due scoprono l’identità del figlio quale vero e proprio outcast, rifiuto della società, la donna erige un muro, una cortina di ferro contro l’accettazione della sua maternità. Una metafora potentissima che, caso assai raro in Im, a un primo livello implica una pesante messa in discussione del ruolo svolto dalle determinazioni di classe e, ad un secondo, gioca sull’impossibile di riconoscimento unitario della Corea divisa.