

DACHIMAWA LEE
Durante l'occupazione giapponese il tesoro nazionale coreano, il Buddha d'Oro, viene rubato. La statua, di fondamentale importanza per la sicurezza nazionale, contiene informazioni vitali sui partigiani. Una volta finita nelle mani dei giapponesi, la lista potrebbe danneggiare non solo il paese, ma la sicurezza di tutti i cittadini. Il governo coreano affida alla leggendaria spia Dachimawa Lee il compito di recuperare la statua e di svelare l'oscuro complotto che si cela dietro al furto. A peggiorare la situazione, la compagna dell'agente viene uccisa durante una missione nel territorio nemico.
Nato da un precedente mediometraggio dallo stesso titolo, realizzato nel 2000 (e distribuito su internet), il film è un dichiarato tributo al hwalgeuka (tipologia di spy-movie molto in voga nella Corea degli anni '70, sia al cinema che in televisione), in forma di commedia che parodizza ogni aspetto del genere al quale pretende di appartenere. Come in molti film di Ryoo l'euforia per la citazione cinefila (Dachimawa Lee è anche il termine con cui i registi degli anni '70 indicavano il genere) si mescola al gusto per le gag e le scene comiche, con le sequenze d'azione che rivelano il loro carattere artificioso, creando un effetto volutamente straniante. A volerlo paragonare a un film occidentale, verrebbe da pensare a Austin Powers, per l'uso creativo e molto pop della satira. Curioso, infine, sentire i personaggi che parlano quattro lingue diverse (coreano, cinese, giapponese, inglese).