AD LIB NIGHT

Titolo Coreano:

아주 특별한 손님

Pronuncia Originale:

A-joo Teuk-byeol-han Son-nim

Titolo Italiano:

Una Notte all’Improvviso

Regista:

Anno:

2006

Durata:

98 min.

Nazione:

Corea del Sud

Formato:

35mm

Tipologia:

Colore:

Colore

Lingua:

Coreano

Sottotitoli:

Italiano, Inglese

Produzione:

Distribuzione Internazionale:

Sceneggiatori:

Musiche:

Direttore alla Fotografia:

Direttore delle Luci:

Costumista:

Edizione Festival:

Sezione Festival:

Rassegna/Retrospettiva:

Sinossi:

Bo-kyung è ferma per strada e un ragazzo incomincia a parlarle: non lo sa, eppure sta per farsi coinvolgere in una storia che la cambierà per sempre. Ki-yong l’ha scambiata per qualcun’altra: per una ragazza che ha lasciato la sua famiglia e che adesso il vecchio padre morente vorrebbe rivedere per l’ultima volta. È tenace, insiste, la prega di aiutarlo, arriva a offrire del denaro, e riesce a convincerla: Bo-kyung lo seguirà in campagna per recitare il ruolo di una ragazza come lei, sola e lontana dalla famiglia, e si ritroverà coinvolta in una girandola di personaggi che parlano come se lei non ci fosse, che accettano di fare i conti con il suo essere la persona sbagliata al posto giusto. Come una piccola samaritana, reca al vecchio morente il suo unguento, l’ultimo dono che può riscattare una vita: “scusa, papà”. Ma chi ha davvero aiutato chi? Al ritorno, in macchina, Bo-kyung si abbandona ad un pianto liberatorio, e nel mattino che nasce fà una telefonata: “buon compleanno, mamma”.

Recensione Film:

Basato su un racconto breve dello scrittore giapponese Asuko Taira, “Ad Lib Night” è l’ultima tappa del viaggio di Lee Yoon-ki lungo la solitudine e lo spaesamento della giovane generazione coreana. Bo-kyung assomiglia molto alla Jeong-hae di “This Charming Girl”: come lei è giovane, carina, e sola. A differenza della protagonista del primo film del regista, che è schiacciata dal peso del passato e da un trauma rimosso, Bo-kyung sembra essere priva di una profondità temporale. Compare in uno spazio urbano, una delle tante piazze che il cinema coreano mette in scena per far sentire la freddezza dei luoghi in cui brulicano gli esseri umani, come una fata, o una creatura arrivata da chissà dove. Così la incontrano i “maschi di casa”, i due ragazzi inviati dalla campagna nella città per ritrovare la sorella prodiga che aveva lasciato la casa paterna per tuffarsi nell’avventura dell’incognito. La scambiano per qualcun altro, non la riconoscono, o forse la riconoscono proprio per quello che è: una creatura fatata, magica, che è stata inviata per saldare un debito e lenire una ferita. Se non fosse per l’ultima telefonata, che la ragazza rivolge alla madre per augurarle buon compleanno, si potrebbe pensare che Bo-kyung non ha nemmeno relazioni: non parla, si lascia coinvolgere in una missione impossibile e del tutto improbabile. All’esotismo artificiale e definitivamente “altro” di “Love Talk”, qui si sostituisce una dimensione più propriamente mitica: la contrapposizione tra città e campagna, tra spazio di falsificazione della relazione e spazio famigliare del consolidamento dei legami. La città è un luogo di perdizione, o anche soltanto di “perdita”: si perde l’identità, e si può essere scambiati (o inter-scambiati) con qualcun altro. Nel momento in cui la figlia si è “persa” nella città, allora ogni ragazza diventa uguale, tutte mancanti di qualcosa, tutte da riportare a casa. Si perdono i contatti e non si ricorda più. Anche la comunità di campagna nella quale Bo-kyung viene condotta ha qualcosa di arcaico e magico: ci sono donne, alcune inizialmente sospettose, e poi pronte a ricostruire una nuova sorellanza, ma soprattutto ci sono uomini, che “rapiscono” (il viaggio a cui i due ragazzi spingono Bo-kyung è suna specie di sublimazione euforica del ratto, della violenza, dello stupro), ma anche che proteggono, che diffidano, ma anche che hanno bisogno di confronto. E tutti sono disposti ad accettare: inizialmente sono contrari alla “partecipazione” di Bo-kyung, non condividono questa falsificazione morale, ma poi decidono che forse per un membro della famiglia che se ne va, ci potrebbe essere posto per un nuovo arrivo. E nella “sua” nuova stanza, la porta socchiusa per sentire le parole degli altri, Bo-kyung riscopre una intimità che forse non appartiene al mondo dalla quale arriva. E si affida, come ad un oggetto transizionale, al “rito delle calze”. Uno dei momenti più dolci, indifesi e romantici del nuovo cinema coreano.